La Commissione europea intende riformare il regime dei sussidi svincolandoli del tutto dalla produzione, e quindi dal lavoro,
calcolandoli solo sulla superficie del terreno posseduto. Quindi un ettaro di terreno coltivato e un ettaro di brughiera varranno uguale. Così, l’agricoltura italiana, pur producendo il doppio di quanto viene prodotto nel Regno Unito o in Polonia, riceverà un ammontare di aiuti inferiore del 30% rispetto a tali paesi.
E’ una distorsione di concorrenza evidentemente inaccettabile! Come non è pensabile che l’Italia versi in futuro all’Unione
europea oltre 7 miliardi l’anno per la politica agricola, per riceverne soltanto 3,5 sotto forma di sostegni erogati alle imprese italiane. A nostro avviso, lo scenario indicato dalla Commissione costituisce il trionfo della rendita parassitaria ed al tempo stesso sancisce la fine della politica agricola europea.
E l’Italia, Paese fondatore, ha largamente contribuito finora al finanziamento dell’Unione ed ora chiede di ottenere giusta
considerazione per le proprie aspettative.
Pubblichiamo il comunicato del Ministro per le Politiche agricole Francesco Saverio Romano
La Pac così com’è non è più d’aiuto ai nostri agricoltori
Tra qualche settimana la Commissione europea presenterà le proprie proposte per la riforma della Politica Agricola Comune (Pac), che saranno ispirate ad una linea di continuità con il recente passato. Per affrontare nel modo giusto questo negoziato è necessario chiedersi, in via preliminare, quanto la Pac sia oggi corrispondente alle esigenze degli agricoltori e dei consumatori.
Il problema principale dei produttori europei, in questa fase è costituito dal contrasto fra la crescita dei costi di produzione e la volatilità dei prezzi di vendita: questi due fenomeni rendono instabile il conto economico ed espongono le aziende ad acute
criticità. Si tratta di un fenomeno in una certa misura connaturato all’attività agricola (da sempre soggetta all’alea delle oscillazioni produttive), ma che recentemente ha assunto dimensioni preoccupanti a causa della forte permeabilità dei mercati. E’ sugli agricoltori, che costituiscono l’anello più fragile della filiera, che si ripercuotono tutti gli effetti negativi della volatilità. In un mercato sempre più globalizzato, i produttori europei sono esposti alla concorrenza delle agricolture più competitive, e risultano disarmati di fronte alle fluttuazioni del mercato.
Per la maggioranza dei consumatori le aspettative principali riguardano il contenimento dei prezzi al dettaglio ed unamaggior trasparenza sulla qualità dei prodotti posti in vendita. Ebbene, la Pac non riesce a dare adeguate risposte a nessuno di questi problemi.
Nell’ultimo decennio la politica agricola europea ha cambiato completamente i propri connotati, eliminando progressivamente
quasi tutte le forme di sostegno collegate alla produzione ed al mercato. Gli aiuti sono attualmente erogati alle aziende agricole anche nel caso in cui esse non producano più (disaccoppiamento), mentre nessuna forma adeguata di aiuto è prevista per sostenere i produttori in presenza di crisi di mercato. Già oggi questo regime di sostegno risulta più funzionale alla proprietà fondiaria che decida di abbandonare o ridimensionare l’impegno produttivo, piuttosto che alle imprese impegnate sul mercato!
Il livello degli aiuti erogati (mediamente tra i 250 ed i 350 euro per ettaro) costituisce infatti una rendita interessante per un’azienda che ha cessato l’attività e che non deve affrontare costi di produzione, mentre appare ben poco rilevante per un’impresa che ha operato investimenti, che impegna manodopera, e che deve far quadrare costi e ricavi. Ma la Pac non è funzionale nemmeno rispetto alle esigenze dei consumatori europei, che chiedono prezzi ragionevoli ed una qualità adeguata.
La politica europea non garantisce né l’uno né l’altro: da un lato, infatti, non riesce ad incidere sulla vorticosa crescita dei prezzi dal produttore al consumatore finale e dall’altro non prevede regole idonee ad assicurare una chiara riconoscibilità della qualità degli alimenti.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente allarmante: negli ultimi anni il processo di rafforzamento delle norme a tutela della qualità è entrato in una situazione di stallo. La tracciabilità resta, per la maggior parte dei prodotti presenti sul mercato, una mera enunciazione, come è apparso con tutta evidenza nella recente crisi dell’E.coli, ed a Bruxelles continuano a manifestarsi
incomprensibili resistenze rispetto alla richiesta di evidenziare ai consumatori l’origine dei prodotti e delle materie prime
utilizzate.
Questo scenario non può essere considerato soddisfacente per i produttori ed i consumatori italiani: la riforma
potrebbe costituire l’occasione per correggere alcuni errori, ma in realtà le linee indicate dalla Commissione tendono ad
accentuare gli aspetti più negativi del quadro attuale. La Commissione propone infatti un processo di riforma diretto a commisurare gli aiuti erogati esclusivamente in funzione delle superfici aziendali.
In una prima fase (2014/2020) si avrebbe un riavvicinamento del livello di aiuto/ettaro, che dovrebbe poi concludersi nel periodo successivo con un flat rate europeo. In questa prospettiva scompare ogni riferimento al lavoro, al prodotto realizzato, alle caratteristiche dell’impresa ed alle capacità dell’agricoltore. La superficie resta l’unico parametro per la erogazione degli aiuti ed un ettaro di brughiera abbandonata presenta lo stesso rilievo di un ettaro di orticoltura specializzata. Si tratta di un approccio inaccettabile sul piano economico ed etico! La Pac non può cancellare con un colpo di spugna gli elementi essenziali dell’attività agricola, che è costituita in primo luogo da un produttore e da un prodotto. Sono gli uomini e le donne, con il loro lavoro ed i loro investimenti, a produrre beni, a produrre alimenti per la collettività.
Al termine del processo delineato dalla Commissione (quando gli aiuti saranno erogati solo in base alla superficie) l’agricoltura italiana, pur producendo il doppio di quanto viene prodotto nel Regno Unito o in Polonia, riceverà un ammontare di aiuti inferiore del 30% rispetto a tali paesi. E’ una distorsione di concorrenza evidentemente inaccettabile. Come non è pensabile
che l’Italia versi in futuro all’Unione europea oltre 7 miliardi l’anno per la politica agricola, per riceverne soltanto 3,5
sotto forma di sostegni erogati alle imprese italiane. D’altra parte l’Italia, Paese fondatore, ha largamente contribuito
finora al finanziamento dell’Unione ed ora chiede di ottenere giusta considerazione per le proprie aspettative. Lo scenario indicato dalla Commissione costituisce il trionfo della rendita parassitaria ed al tempo stesso sancisce la fine della politica agricola. Non a caso la Commissione si preoccupa di legittimare in modo nuovo la Pac, attribuendole una rinnovata veste ambientalista. Ritengo che occorra cambiare percorso, riportando al centro della Pac le esigenze delle imprese produttrici e dei consumatori. Il dibattito sulla riforma ci consente una svolta in questa direzione. Se la Commissione e gli Stati membri non avranno la lucidità di farlo la Pac sarà destinata ad una rapida agonia.
Ministro delle Politiche agricole di Francesco Saverio Romano*