“Io e le Coop, rimettiamo le cose in chiaro”

di Bernardo Caprotti

pubblichiamo lalettera che il presidente del gruppo Esselunga, Bernardo Caprotti, ha inviato alla direzione del Corriere della Sera sull’affaire “Falce e carrello”, il libro che l’impreditore della GD pubblicò quattro anno fa e nel quale dava conto delle sue esperienze personali in merito alle difficoltà e agli ostracismi incontrati dal suo gruppo nel penetrare (senza riuscirvi davvero ) i mercati delle aree regionali storicamente vicine al partito comunista italiano, i cui mercati sono strenuamente occupate in regime di quasi monopolio dalle cooperative rosse. Quella ‘denucia’ editoriale è costata a Caprotti una condanna per ‘illecita concorrenza’ rimessa pochi giorni fa con sentenza dal Tribunale di Milano su denuncia di Coop Italia, un risarcimento di 300,000 euro ma soprattutto la rimozione del suo libro dagli scaffali. Un chiaro attentato – stavolta sì – alla libertà d’espressione in Italia.

Caro direttore, dal Corriere di domenica scorsa vedo che la vicenda diventa politica e questo non mi piace.
D’altronde lo è. Coop, Legacoop, eccetera, politica lo sono per decisione e scelta di Palmiro Togliatti, nel 1947 a Reggio Emilia. Per quanto riguarda la sentenza, il tribunale di Milano è stato forse clemente: non ha ammesso la diffamazione, ci ha condannato solo per concorrenza sleale. Io sono soltanto sleale, cioè “unfair”, subdolo e tendenzioso. Un niente, di questi tempi! quasi un gentiluomo. E per i danni subiti da Coop per questa sleale concorrenza ha accordato 300.000 euro invece dei 40 milioni richiesti!

Il libro? Non si ordina neppure di bruciarlo sulle pubbliche piazze. Io, per quanto mi riguarda, vorrei però rimettere le cose nei termini appropriati. Quando mi si accusa di «attacco» – per non parlar del resto – si dice una bugia. Sono cose intime, esistenziali, ma perché non dirle? Nell’estate del 2004 sono stato gravemente ammalato e, stordito dal Contramal, un antidolorifico tremendo, caddi di notte in bagno e mi fratturai la colonna vertebrale.

Inoltre quattro mesi prima mio figlio se ne era andato. Mio figlio non è mai stato scacciato, mio figlio non ha mai fatto nulla di male, semplicemente si era attorniato di una dirigenza non all’altezza. Per me il suo autonomo allontanamento è stato un grande dolore. Ricordo quell’autunno 2004, come un periodo tristissimo, di grande sofferenza e di estrema debolezza. È in questo 2004 e nell’anno seguente che, nella mia defaillance, fui oggetto di una vera e propria aggressione.

Le dichiarazioni ai giornali di Aldo Soldi, presidente di Ancc (Coop), che voleva Esselunga, si susseguivano. L’amministratore delegato di una grande banca, tuttora in carica, venne due volte, «dica lei la cifra, la paghiamo in settimana, al resto
pensiamo noi». Poi il prestigioso studio legale, per conto dichiaratamente di Unipol. Sono solo due esempi. Finché l’allora
presidente del Consiglio, Romano Prodi, dichiarò in televisione che occorreva mettere assieme Coop con Esselunga.

In quale modo, non disse. Questo sì che fu l’«attacco» che ci costrinse a fare chiarezza sui giornali! Vorrei poi che qualcuno mi spiegasse come si può «tenere insieme» e condurre un’azienda in queste condizioni. È da tutto ciò che nasce, in sintesi, «Falce e Carrello»! Io avvertii Soldi, poiché la mia educazione ottocentesca a ciò mi impegnava. Ma intendevo solo raccontare alcuni episodi vissuti, documentati, oserei dire, sofferti.

Cioè denunciare qualche «stravaganza», chiamiamola così, di quel sistema. Però, evidentemente, ho commesso un errore e me ne scuso: infatti è stato interpretato come un «attacco» al più grande Istituto Benefico del Mondo, una Istituzione che ha un
milione di dipendenti, quando la Croce Rossa Internazionale ne ha soltanto 12.500. Mi sono così tirato addosso sette cause, che mi sembra possano bastare.

Tutto qua. Io non concepisco questa Italia di destra o di sinistra. Ho amici a sinistra, come certamente ne ho a destra. Sono stato educato nel credo della libertà e nel rispetto del prossimo.

Bernardo Caprotti